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Spettacolo di Danio manfredini
 
Notizia del 03/11/2014
 
Spettacolo di Danio manfredini
 
Teatro san Francesco Tortolì 6 novembre 2014 ore 20:45
 

 Continua la Rassegna teatrale “Sguardi sul presente 2014”, organizzata dall’Associazione Rossolevante, con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Tortolì.

Prossimo appuntamento il 6 novembre alle ore 20.45 presso il Teatro San Francesco di Tortolì, ove andrà in onda lo spettacolo di Dario Manfredini “Vocazione”.

Con Vocazione Danio Manfredini traccia un quadro sulla figura dell’attore teatrale e dei vari stadi che attraversa nella creazione: come si contaminano i piani della vita con quelli dell’arte e viceversa.

“Mi apro a un percorso di lavoro teatrale che verte sul tema dell’attore di teatro e della sua vita. Metto a fuoco questo soggetto in un momento in cui sembra inutile, non necessario, occuparsi di teatro, di arte e di conseguenza dell’attore-autore-regista teatrale, figura che sembra in disuso. Pur accogliendo i progressi della tecnologia e il potenziale che offrono all’arte, ritengo centrale la figura dell’artista nella sua essenza umana scarna. Come il semplice che sta in una frase, in un canto, nella danza va a stagliarsi con il suo senso proprio dove tutto sembra morire. Fosse anche, come si dice, che il teatro è destinato a sparire, ci tocca dare luce al tramonto. Sarebbe comunque un privilegio, glorificare il momento del tramonto, così vicino al buio.”

Danio Manfredini 

Danio Manfredini, una delle voci più intense del teatro contemporaneo italiano, è autore e interprete di capolavori assoluti quali Miracolo della rosa (Premio UBU 1989), Tre studi per una crocifissione e Al presente (Premio UBU come migliore attore); lavori più corali quali Cinema Cielo (Premio Ubu come miglior regista) e Il sacro segno dei mostri. Nel 2010 si confronta con il repertorio e debutta nel 2012 con lo spettacolo Il principe Amleto, dall’Amleto di Shakespeare, una coproduzione italo-francese (La Corte Ospitale, Espace Malraux - Chambery, Aix en Provence). Nel 2013 riceve il Premio Lo Straniero 2013, come «maestro di tanti pur restando pervicacemente ai margini dei grandi circuiti e refrattario alle tentazioni del successo mediatico» e il Premio Speciale UBU 2013. È Direttore dell’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini di Napoli per il triennio 2013-2016.

 

Il teatro di Danio Manfredini.

Nato alla scena nella Milano degli anni Settanta, in tempi di dure contrapposizioni e di impossibilità di dialogo fra realtà diversissime come la scena della tradizione e quel teatro del malessere, politico per definizione, che aveva trovato la sua sede nei centri sociali, Manfredini pensava che il suo mestiere fosse la pittura. A toglierlo da chine e pennelli, è l’incontro con un attore che, come lui, si sente senza radici, straniero, l’argentino César Brie della Comuna Baires, arrivato da poco in Italia esule dall’Argentina della dittatura. Insieme e accanto a César, conta per Danio il lavoro con Iben Nagel Rasmussen: un teatro psicologicamente emotivo, che esalta il corpo, l’impatto straordinario con l’energia della voce, la bibbia della nuova scena, di quel terzo teatro destinato a diffondersi da una piccola cittadina danese in tutto il mondo grazie alla potenza fascinatrice di un maestro come Eugenio Barba e dei suoi attori. Il suo modo di fare teatro in quegli anni spesso si dispiega in assoli provocatori che (anche grazie al suo lavoro nei centri sociali e nelle comunità psichiatriche e i suoi incontri con uomini eccezionali come Tadeusz Kantor) testimoniano la rivelazione di come si possa vivere, quasi esaltandola, la propria diversità grazie a scrittori come Genet e Pasolini. E racconta la genesi di spettacoli molto amati dal pubblico giovanile, che spesso hanno ricevuto importanti riconoscimenti, dal Miracolo della Rosa al già citato Cinema Cielo: un arco di circa vent’anni iniziato seguendo César Brie e il suo teatro Tupac Amaru, passando per La crociata dei bambini tratto dal poema di Brecht e il teatro dell’impegno accanto ai giovani del Leoncavallo fino alla conquista di un linguaggio e di una tematica più personale che nasce dall’emarginazione cercata e affermata. A fare da ideale introduzione una bellissima intervista di Oliviero Ponte di Pino, che ci conduce dentro il mistero e il cammino, per molti aspetti esemplare, di questo inquieto, straordinario artista, da vedere e da conoscere.

Teatro, i riflettori su Danio Manfredini

di Valeria Ottolenghi

Magnifico Danio Manfredini! Tra i maggiori artisti del teatro contemporaneo italiano, appartato e schivo, poche le creazioni, di assoluta commovente bellezza, opere struggenti in passaggi fluidi, dolenti, sapendo toccare ferite scoperte, piaghe dell’anima, sempre con dolce pietà, un’adesione intensa e quieta, con leggerezza e pianto. Riconosciuto come maestro anche nel mondo del teatro, attori e registi che chiedono il suo contributo per la drammaturgia nel teatro danza, l’uso dello spazio, della voce, a partire però sempre dalla ricerca intima dell’urgenza d’espressione artistica, Danio Manfredini – che ha meritato più di un premio Ubu, ogni sua creazione un richiamo forte per chi ama il teatro – è stato diverse volte a Parma, a guidare laboratori e seminari, ma, se ben si ricorda, presentando solamente uno dei suoi spettacoli, «Al presente», in una scena candida d’ospedale esistenze smarrite, inquietudini, strazio, la vecchiaia, la malattia mentale, la solitudine, danzando insieme la voglia di vivere, ritmi dionisiaci facendo ruotare il corpo, la mente nel vuoto, nel bisogno come di volare dimenticando. A dare il proprio contributo all’assistenza tecnica, alle luci per questo spettacolo, Lucia Manghi, che da tempo, sentendo come suo mondo il teatro, collaborava a livello ideativo e organizzativo al Teatro Europa. Accompagnerà così Danio Manfredini, seguendolo nel suo lavoro, nel suo complesso processo creativo, nella riproposta di alcuni capolavori, fortunatamente conservati in repertorio, come «Tre studi per una crocifissione», ispirato al trittico di Francis Bacon, e con testi da Fassbinder e Bernard-Marie Koltès. Un modo concreto per avvicinare la sfuggente poetica di Manfredini, densa e leggera, stilizzata, raffinatissima. Una tesi di laurea accurata, documentata, con citazioni precise, descrizioni ma anche essenziali intuizioni capaci di far cogliere, per quanto possibile, lo splendore della ricerca di Manfredini, capace, come i suoi maestri di riferimento, Genet, Pasolini, Kantor, ma in forma del tutto originale, di fondere squallore e santità, miseria, vergogna e vertiginosa bellezza, luci ed ombre, volgarità e purezza. Il libro che ne è derivato – «Piuma di piombo – Il teatro di Danio Manfredini» ed. Il principe costante – è quindi divenuto strumento di straordinaria importanza, memoria e guida, per conoscere un artista dei nostri anni, ultima opera «Cinema cielo», debuttato al Festival di Santarcangelo lo scorso anno. Il titolo del saggio della Manghi è uno degli ossimori di Romeo, a ricordare, con la levità del passo di Manfredini il suo coraggio nell’affrontare zone segrete del cuore, della vita, consapevolezze fuggite, paure nascoste. E il titolo dell’introduzione di Oliviero Ponte di Pino, altro essenziale strumento guida per accostare la poetica di Manfredini, è Il monaco guerriero del teatro italiano, nuovi termini che paiono contraddirsi, autore solitario e combattivo. A partire da se stesso: «Per lui il lavoro dell’attore è un duro esercizio di autodisciplina e un percorso di conoscenza, una tecnica e un’etica». Un libro da leggere, conservare e consultare, per l’analisi critica di opere indimenticabili, per la suggestione delle parole raccolte dallo stesso Manfredini, «siamo un soffio in un viaggio di conoscenza, semplicemente di conoscenza ed esperienza».